Tokyo 2020
Il disastro olimpico della Rai
Apprezzabile lo sforzo, ma il confronto con la concorrenza è imbarazzante. Non si può restare al Novecento
La tv di stato ha un gioiellino (RaiPlay) che non usa. Le Olimpiadi solo su Rai 2 o sulle frequenze radio Fm. E lo streaming? Non c’è. Appello ai nuovi vertici: per favore, entrate nel Terzo millennio
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- Tokyo 2020 al via. La cerimonia di apertura delle Olimpiadi
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- In difesa dei Giochi. Le Olimpiadi sono la massima istanza globalista possibile
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- Ti sei prenotato? A Tokyo la zona mista è morta, viva la zona mista
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- Dopo l'argento di Daniele Garozzo la scherma italiana deve giocare di squadra
Tokyo 2020 al via. La cerimonia di apertura delle Olimpiadi
Allo Stadio olimpico della capitale giapponese, il primo atto della XXXII edizione dei Giochi. Con la tradizionale parata dei portabandiera, davanti all'imperatore Naruhito. La diretta dall'esterno dell'Olympic Stadium
Olimpiadi nella bolla, avvio contingentato. Saranno solo 950 - in origine era previsto un tutto esaurito da 68.000 persone - gli invitati presenti alla cerimonia di apertura dei Giochi di Tokyo. Alle 13 italiane (le 20 ora locale), si inizia con uno spettacolo musicale offerto dal paese organizzatore. Il culmine è l'accensione del braciere olimpico - ultima tedofora la tennista nipponica Naomi Osaka -, con la torcia partita come da tradizione dall'antica città dell'Elide. E proprio la Grecia, dopo il discorso di apertura del presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, sarà il primo paese a sfilare lungo il perimetro interno dello stadio.
E' la parata dei portabandiera, il momento più atteso della cerimonia: 206 delegazioni partecipanti, compreso il Team olimpico dei rifugiati - presente come allenatore Niccolò Campriani, tre ori alle Olimpiadi nel tiro - e gli atleti sotto il vessillo del Cio - tra i quali ci sarà la nostra Paola Egonu (volley). L'Italia, rappresentata dai portabandiera Jessica Rossi (tiro a volo) e Elia Viviani (ciclismo), si esibirà per 18esima. La sfilata verrà chiusa dal Giappone paese ospitante, preceduto nell'ordine da Francia (organizzatore, a Parigi, dell'edizione 2024) e Stati Uniti (a Los Angeles nel 2028).
A conclusione della cerimonia parlerà l'imperatore giapponese Naruhito, che ha preannunciato un discorso di inaugurazione "solenne e adatto alle circostanze": non verrà sottolineato il carattere "festoso" di queste Olimpiadi, per rispetto di tutte le vittime del Covid-19. Non ci sarà invece l'ex premier Shinzo Abe. In rappresentanza istituzionale dell'Italia Valentina Vezzali, sottosegretaria allo sport e sei volte oro olimpico nella scherma.
Tutti gli approfondimenti del Foglio su Tokyo 2020:
In difesa dei Giochi. Le Olimpiadi sono la massima istanza globalista possibile
Pensate che il movimento olimpico si possa fermare? È il motore dello sport mondiale
Fate sparire le Olimpiadi e dovremmo correre a inventarle di nuovo. Costano care, ma danno molto di più. E non per quei calcoli, un po’ ingenui, è vero, sui ricavi diretti, intorno ai quali ci si potrebbe accapigliare per mesi, tanto chi vuol vedere solo le perdite e i danni vedrebbe solo quelli. Ma, per quanto sia ampia e dettagliata la matrice usata, calcolare gli effetti economici di un’Olimpiade resterebbe difficilissimo e, soprattutto, inutile, senza guardare un po’ più in là nello spazio (perché i benefici o se volete gli effetti, sono globali) e nel tempo (perché ogni edizione dei Giochi comincia quattro anni prima dello svolgimento e dura per i quattro anni successivi).
Questa volta le Olimpiadi, che pure sono rette, a livello mondiale, da un’organizzazione rigida e piuttosto burocratica, hanno anche dato prova di adattamento (era successo solo per le guerre mondiali che si dovesse cancellare una data prevista). Hanno retto alla pandemia e, ora, stanno reggendo alle proteste di chi dice che non andavano svolte a causa della pandemia. I media, nazionali e mondiali, enfatizzano le proteste dei giapponesi contrari ai Giochi, segnalano le lamentele degli albergatori (come si dice ristori in giapponese?) e degli altri agenti del turismo, informano sui buchi finanziari e sui rischi di contagio.
Tutto vero ma, ancora più forte, anche di fronte a queste terribili difficoltà, è la spinta di quella strana creatura che si chiama movimento olimpico.
Il punto è che, per quanto possa sembrare possibile, e per alcuni perfino allettante, l’idea di uno sport sovranista, chiuso in un paese e tutto svolto lì, nella realtà non funzionerebbe. Serve, invece, quel consesso variegato, non esente da errori e corruzione o da ipocrisie nel trattare con le storture di ciascun paese, ma che è un consesso mondialista.
Le Olimpiadi sono il motore di tutto lo sport mondiale, ne sono l’impulso iniziale e l’approdo finale, servono a valorizzare tutte le discipline, a portare centinaia di milioni di giovani verso la pratica di uno sport e a spingere verso il consumo sportivo (senza il quale non esisterebbe la floridissima industria che lo alimenta e sostiene), creano l’immagine dello sport, da cui poi derivano esternalità positive, per parlare come gli economisti, per tutti.
E sono, per loro vocazione e per loro mandato, la massima istanza globalista possibile, con la standardizzazione delle regole e il valore mondiale delle decisioni del Cio. I casi di divergenza sono minimi e sono passati alla storia come eccezioni da cui la tradizione olimpica e uscita rafforzata, come è successo nei boicottaggi o con le forzature di alcuni regimi dittatoriali. Tutto questo, ovviamente, non poteva fermarsi per il Covid, anche se la sfortuna ha voluto che si finisse in un paese dove la incultura No vax è molto diffusa. Ora, tra bolle e bollettini, si va avanti come è possibile. I campionati di calcio nazionali, le coppe europee e, recentissimamente, gli europei, hanno mostrato che, tra problemi e contestazioni e con un po’ di elasticità nei tempi di svolgimento, i grandi appuntamenti sportivi riescono a essere completati. E quanto ci sono serviti, proprio in questi giorni, anche con qualche errore nel controllo degli assembramenti. Per le Olimpiadi vale tutto questo e vale molto di più. Qualche atleta non potrà gareggiare per positività Covid. Cose che succedono, ma si va avanti. Mostrando anche la strada ai paesi. Ciascuno col suo Green pass, per non fermarsi più.
Il foglio sportivo
Ti sei prenotato? A Tokyo la zona mista è morta, viva la zona mista
Qui si piange la dipartita del luogo in cui l’evento sportivo celebrava la sua grandezza, il “mischione”
Agli inizi di questa strana Olimpiade dedichiamo un’elegia alla zona mista. Come si legge sul dizionario Treccani, l’elegia è “un componimento poetico di argomento vario improntato a un tono, meditativo e malinconico, di compianto per una condizione d’infelicità di varia origine”. In questo caso piangiamo la dipartita del luogo di incontro dei grandi avvenimenti sportivi, il posto dove l’Olimpiade celebrava la sua più vera grandezza, cioè il fatto di essere un “mischione” senza soluzione di continuità. A Tokyo la zona mista è morta. Già i giapponesi non volevano l’Olimpiade e alla fine l’hanno accolta piazzando ovunque un muro di plexiglas. La zona mista, per chi non fosse addentro, è il luogo dove i media incontrano gli atleti, a cavallo di una transenna.
Fino a Rio de Janeiro era il luogo supremo della calca. La transenna tracciava un confine, ma la situazione era fluida, le braccia si allungavano, la linea non era mai rispettata. Per conquistare la transenna, l’Everest per i giornalisti in prima linea, dovevi affrontare effluvi di sudore e di altri liquidi corporei, spigoli di macchine fotografiche, microfoni e videocamere, penne e taccuini, registratori e cellulari. L’abbiamo maledetta, abbiamo litigato in una babele di insulti per guadagnare lo spazio vitale a scapito dell’avversario. Ora per accedervi (da questa parte del plexiglas che si è aggiunto alla vecchia cara transenna) ci vuole la prenotazione.
Facciamo un esempio. A Sydney 2000 Davide Rummolo stabilì il record italiano dei 200 rana in batteria, stracciando il primato di Domenico Fioravanti, fresca medaglia d’oro nei 100. Una sorpresa assoluta, un gregario di successo (alla fine fu bronzo nella finale vinta dal nostro numero 1): ci scapicollammo in zona mista per scoprire chi fosse. Ora, se succede qualcosa del genere, se non ti sei prenotato, in zona mista non entri. Negli stadi non c’è il pubblico, ma la stampa deve prenotare lo stesso. Per certi sport, soprattutto re e regina dell’Olimpiade, nuoto e atletica, occorreva il biglietto anche prima. Però a Rio, in piscina, c’erano 700 posti, ora sono 450. Ma se non ci siamo prenotati e un italiano va a medaglia? In questo caso c’è la press conference obbligatoria e qualcosa recuperi. Oppure, dopo, vai a Casa Italia che l’astuto Danilo Di Tommaso, gran ciambellano del Coni, ha piazzato in un albergo accreditato, uno dei luoghi cioè, dove si può andare senza incorrere in sanzioni. Però, se l’atleta ha altre gare, non si può muovere dal villaggio. Greg Paltrinieri, per dire, uscirà dalla bolla solo alla fine della sua lunga Olimpiade. Non c’è neanche più il buffet, a Casa Italia, che sfamò legioni di inviati e ospiti vari.
Ah, il tavolo. Io, se fossi andato a Tokyo, non avrei certo rinunciato a Sushi 6, il ristorante nel compound del mercato del pesce dove c’è la mia foto con il numero di sushi che mi mangiai un giorno di luglio del 2002. Ma fuori dalle strutture indicate, non si può andare. Chi ci prova, se beccato, è fuori. Infatti, un famoso editorialista di un grande quotidiano italiano, ha chiamato un alto funzionario del Cio e gli ha chiesto: ma io posso andare a pranzo al ristorante. “No”. E lui, giustamente, è rimasto a casa.
Il Villaggio era un crogiolo di culture, razze, lingue. La mensa un luogo di meravigliosa promiscuità in cui si facevano incontri decisivi per la propria vita. Un giovane Roger Federer, a Sydney 2000 conobbe Mirka Vavrinek tennista irrilevante ma fondamentale per la vita del più grande tennista del mondo. Adesso ci si guarda da un posto all’altro dei tavoli attraverso l’immancabile plexiglas e le insalate si devono tirare su dalle ciotole con i guanti.
In teoria c’è ancora il “mischione”, ma i casi degli ultimi giorni stanno inducendo molte spedizioni a impedire i contatti. Quello che non si può impedire è che si dividano le strutture del Villaggio. L’Italia, alla palazzina 16, è in compagnia dell’Argentina. Però sarà molto difficile incontrare dei simil Livio Berruti e Wilma Rudolph mano nella mano come gli originali in una tiepida sera romana del ‘60. Perché le delegazioni vigilano e perché a Tokyo non c’è nulla di tiepido. Quello che mancherà all’Olimpiade 2020 (traslocata causa Covid nel 2021) sarà il gusto dell’inatteso, la storia minore che diventa maggiore, l’imprevedibilità. Non sentiremo più l’urlo al Media Center, “c’è un italiano a medaglia nel pentathlon”, che ci faceva correre da una parte all’altra della città. O forse ci sarà ma, subito dopo, arriverà la domanda: “Ti sei prenotato?”.
Dopo l'argento di Daniele Garozzo la scherma italiana deve giocare di squadra
Il medagliere azzurro tradito dallo sport che più aveva dato garanzie nella storia olimpica dell'Italia. Ora aspettiamo gli appuntamenti a squadre
Sliding doors. 2016: finale olimpica, 15-11, un fantastico Daniele Garozzo sgancia la stoccata dell’oro con sfrenata esultanza inclusa sulla pedana di Rio. 2021: finale olimpica, 15-11, un fantastico Daniele Garozzo si arrende tenendosi la coscia destra che per tutte le gare di fioretto individuale non gli ha dato tregua. È l’immagine della scherma italiana finora a Tokyo: un po’ amara anche quando non si poteva chiedere di più. Deludente per il resto. Due argenti – oltre a Garozzo anche Luigi Samele, nella sciabola –, nessuno da parte delle ragazze che nel fioretto individuale rimangono a secco di medaglie per la prima volta dal 1988. Sia pure per un nulla: il bronzo di Alice Volpi è sfumato all’ultima stoccata. Di legno pure Andrea Santarelli nella spada.
Legge di Murphy, si dirà. Oppure flop clamoroso. In realtà è tutto più complicato e allo stesso tempo meno drastico di così. Dice bene Valentina Vezzali, nella leggenda delle Olimpiadi e oggi in Giappone da sottosegretario allo sport: “Vincere non è mai scontato. Possiamo ancora dire la nostra, ma noi del fioretto femminile abbiamo abituato troppo bene”. A Londra 2012 il podio era tutto azzurro: apice irripetibile. Certo è che la scherma è sempre stata una fucina di medaglie senza pari: 127 in totale, con 49 ori. Nessuno meglio dell’Italia. Però di record non si campa, il talento non manca ma c’è un profondo ricambio generazionale in corso ben oltre il fioretto. Nel frattempo gli avversari – Russia, Ungheria, Corea del Sud – crescono. Ed è pur sempre questione di adrenalina e dettagli, che a volte fanno sorridere a volte no – un nanosecondo fra le luci illuminate da un doppio touché: altro che calcio, l’apoteosi del Var è qui in pedana.
Se poi proprio alla storia e ai numeri vogliamo aggrapparci, questi andrebbero studiati fino in fondo. E dicono che l’Italia ha ceduto il testimone della nazionale da battere già da qualche anno: in testa al medagliere dei Mondiali 2017 e 2018, crollo in nona posizione – senza ori e con un solo argento – nel giro di pochi mesi, a Budapest 2019. Inoltre, secondo il ranking aggiornato della Federazione internazionale di scherma (Fie), l’unica italiana sul podio fra le tre specialità è la due volte campionessa olimpica Elisa Di Francisca. Che però a maggio è diventata mamma e a Tokyo non c’è. Va appena meglio agli uomini, con Alessio Foconi numero uno nel fioretto maschile: oggi però è stato spazzato via 15-3 agli ottavi da Cheung Ka Long, medaglia oro dopo la vittoria contro Daniele Garozzo. In sostanza: dai tornei individuali era lecito aspettarsi qualcosa in più. Ma non chiamiamola sorpresa.
Anche perché è ancora lunga. E il bello potrebbe arrivare ora. Sempre ranking alla mano, gli azzurri hanno tutte le carte in regola per rifarsi negli appuntamenti di squadra: per quattro armi su sei, tra maschile e femminile, il team Italia figura tra i primi tre al mondo. E per la prima volta il programma olimpico nella scherma prevede 12 eventi anziché 10, facendo saltare il principio dell’alternanza fra le tre specialità nelle due categorie. Ergo, due tornei in più di squadra, – stanotte al via con la spada femminile – dove noi saremo sempre presenti. Rispetto alla griglia degli individuali – dai trentaduesimi in poi –, la formula qui inizia dagli ottavi o dai quarti di finale: superato il primo scoglio si lotta già per il podio.
Uno studio di Nielsen Gracenote, società americana specializzata, aveva previsto sei medaglie in totale per gli azzurri in questo sport. Difficile ormai rispettare il pronostico. Ma si può raddrizzare il tiro, senza indorare la pillola: “C’è un problema in tutta la scherma italiana e non sarà facile risolverlo”, ha dichiarato da casa Di Francisca dopo i ko multipli nel fioretto femminile. Per riuscirci, fra gli addetti ai lavori, ci vorrà tempo. Qualche sussulto di gruppo in ottica medagliere invece basterà ad accontentare il grande pubblico. Quello si mette en guarde ogni quattro anni. Anche cinque, stavolta.
Roma. E’ estate, si va in vacanza. Un bel weekend al mare, crema solare, lettino, cuffie e tablet per gustarsi in relax le Olimpiadi di Tokyo. Niente di meglio che usare la più fortunata delle invenzioni Rai degli ultimi decenni, quella RaiPlay che non ha niente da invidiare ai colossi del settore. Peccato che, su RaiPlay, non ci sia niente. Neppure un secondo di taekwondo, sport di cui diveniamo cultori a ogni tornata olimpica. Neanche un colpo di fioretto. E i piattelli, chi li ha visti? Niente. La Rai, infatti, per una mera scelta economica – scellerata – non ha comprato i diritti per trasmettere i Giochi in streaming. Volete riparare sulla radio, magari sintonizzandovi col vostro iPhone su Rai Radio 1 e la sua “tutta l’Olimpiade minuto per minuto”? Provateci: ascolterete solo musica di vario genere (domenica mattina all’alba, mentre in Giappone ci si giocava qualche oro, Radio 1 trasmetteva “E allora mambo” di Vinicio Capossela seguito da apprezzabili successi degli 883). Come mai? Stesso motivo: i diritti. L’Olimpiade la potete seguire sì su Rai Radio 1, ma solo sulle care vecchie frequenze FM o Dab. Insomma, bisogna sintonizzare la radiolina, come una volta. Presente la scena di Fantozzi che si fa orientare da Mariangela la radio in auto pur di non perdersi un istante di Inghilterra-Italia? E’ la stessa cosa.
Ecco allora un appello ai nuovi vertici della tv pubblica: fatela entrare nel Terzo millennio. E’ inutile versare lacrime sui giovani che preferiscono Netflix se poi, quando potrebbero ricordarsi di mamma Rai, lei non si fa trovare. Il modello scelto per seguire i Giochi è lo stesso di sempre, vecchio: un unico canale dedicato per duecento ore complessive, tg olimpico ogni due ore, specialone in prima serata riassuntivo e spezzatino continuo. Si salta da uno sport all’altro, prediligendo il fatto che ci siano italiani e dando poca importanza al “peso” dell’evento: Francia-Stati Uniti di basket, forse, meritava più di una gara di softball (con tutto il rispetto). Si inizia a guardare un match di volley e subito si viene risucchiati nell’ultimo scorcio di un assalto di sciabola perché un italiano è in gara anche se sotto di otto-nove stoccate. Finito quello, si passa alla canoa. Tre minuti dopo, il tiro con l’arco. E così via, un pastone che fa vedere molto (non tutto) ma che alla fine disorienta il povero spettatore. Con incidenti spaventosi sempre in agguato, come accaduto domenica, quando la finale per il bronzo del fioretto femminile è stata mandata in differita perché alle 13, con puntualità sovietica, andava trasmesso il Tg2, che tra un servizio sulle vacanze a Portofino, la Caritas di Torino e la giornata degli anziani, faceva sì che la rete olimpica si perdesse pure la corsa alle medaglie degli azzurri. Oltre al danno, poi, puntuale arriva la beffa: mandando in differita l’assalto di Alice Volpi nel fioretto, Rai 2 si perdeva il bronzo del pesista Mirko Zanni. E’ un modello, questo, che andava bene vent’anni fa, quando quella era la contemporaneità. Peccato che dopo siano arrivate Sky, Dazn, Netflix, Prime Video, Discovery, che hanno reso impensabile il non poter usufruire, nel 2021, dei servizi in streaming e della contemporaneità. Paradossalmente, la Rai sta costringendo chi non vuole perdersi neanche un minuto delle Olimpiadi (e non ha intenzione di sorbirsi le sintesi delle gare dal tg olimpico trasmesso da uno sgabuzzino nipponico) ad abbonarsi alle piattaforme rivali a pagamento. RaiPlay è universalmente riconosciuta essere un gioiellino: è un gran peccato non averla usata al meglio in occasione di Tokyo. Sarebbe stato un bel colpo d’immagine per la tv pubblica di stato, che con poco avrebbe anche fatto dimenticare al telespettatore attento qualche defaillance nelle telecronache e le grafiche da tv locale che non reggono il confronto con la concorrenza. Occasione persa, peccato. L’importante è non perseverare: fra un anno ci sono i Mondiali, fra tre i Giochi di Parigi.
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Maurizio Crippa