La resurrezione di Santa Caterina
Svelata una preziosa tavola del Quattrocento. Era sepolta in un convento. Miracolo della cultura a Palermo
- Archivio
- Toh, c'è cultura in Sicilia
- Archivio
- Che cosa succede a Palermo?
- Video News
- Palermo Capitale della cultura 2018, l'inaugurazione col premier
- Video News
- Nuove analisi per "La ragazza con l'orecchino" di Vermeer
- Bandiera Bianca
- Il miracolo della sirena di Bardolino
- Cultura
- L'isola degli incanti
- Gallery
- Il cielo sopra Palermo
- Cultura
- La galleria degli orrori (restaurati)
-
Philippe Daverio, Milano e le virtù del bello (disastro Citterio a parte)
-
Seduttori addio
-
La pittura che pensa se stessa: Kerstin Bratsch in Fond. Memmo
-
Come uno zabaglione amaro
-
La resurrezione di Santa Caterina
-
La Via Crucis di Adrian Paci
-
La guerra delle sciure. Le due associazioni che si spartiscono l'arte in città
-
Toh, c'è cultura in Sicilia
-
La missione italiana per ricostruire l'arte distrutta dall'Isis
-
I beni culturali negati ai "teocon"
-
Si può cancellare la storia?
-
Marcio su roma
-
Moderno Rosso
Toh, c'è cultura in Sicilia
Altro che capitale della mafia. Da Palermo a Ragusa è un fiorire di iniziative, tutte di alto livello
La “diva delle dive” dell’Ottocento, Maria Malibran, “soprano di bravura” per l’eccezionale estensione vocale che le permetteva di interpretare diversi ruoli dal soprano leggero fino al tenore, è la più famosa tra le tre protagoniste di una originale mostra da poco inaugurata nel Teatro di Donnafugata, sala tra le più piccole d’Europa. Un gioiello situato nel centro storico di Ragusa Ibla, dove una vivace programmazione d’avanguardia viene curata dalle sorelle Vicky e Costanza Di Quattro, insieme a Clorinda Arezzo. Per l’esposizione “La calunnia è un venticello”, le tre curatrici hanno scelto di approfondire altrettante figure di famose cantanti ottocentesche. Accanto alla Malibran, compaiono Isabella Colbran e Teresa Stolz, donne vitali, muse ispiratrici e ineguagliabili interpreti, rispettivamente di Bellini, Rossini e Verdi. L’esuberante personalità e il talento permisero alle cantanti relazioni artistiche intense con i più famosi compositori dell’epoca. La mostra evidenzia quanto il carisma delle interpreti abbia influenzato il genio degli autori.
La Fondazione attiva soprattutto a Palermo vuole diventare sempre più Fondazione "della" Sicilia, dice il presidente Raffaele Bonsignore
Fino al 28 dicembre sono esposti alcuni costumi delle eroine del teatro di Verdi, prestati dall’Accademia Teatro alla Scala. In mostra anche costumi di scena utilizzati per le opere di Rossini, prestati dal Teatro Massimo di Palermo e infine alcuni costumi delle eroine di Bellini provenienti dal Teatro dell’Opera di Catania. Tra gli altri oggetti di pregio anche una stola appartenuta alla Malibran e proveniente da una collezione privata. Tra i documenti in mostra nel foyer del teatro (che prenderanno vita per gli spettatori grazie a gli ArtGlass 3D) la corrispondenza passionale tra queste donne straordinarie e i celebri compositori, oltre a una partitura inedita e autografa di Vincenzo Bellini di proprietà della famiglia Arezzo di Donnafugata. La mostra è stata realizzata in occasione della messa in scena del “Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, in una versione ad atto unico, realizzata appositamente dall’Accademia Teatro alla Scala per Donnafugata su impulso dell’assessorato alla Formazione della regione Lombardia, il cui direttore generale è il ragusano Gianni Bocchieri. Con il “Barbiere” si è aperta anche la settimana di incontri e di dibattiti organizzata a Ragusa da Panorama Italia per offrire un palcoscenico di primissimo piano a tutte le eccellenze imprenditoriali presenti nel territorio.
Un evento di eccellenza, dunque, partito da un piccolo teatro di una delle provincie più a sud d’Italia, che è anche tra le attività apprezzate e sostenute nell’isola dalla Fondazione Sicilia, operante in prevalenza a Palermo – dove ha due sedi storiche che ospitano le collezioni e molte delle attività, Villa Zito e Palazzo Branciforte – ma che “ambisce a diventare sempre più la Fondazione della Sicilia, seguendo la vocazione del suo nome e come si evince dagli organi dell’istituzione, i cui membri rappresentano le nove provincie dell’isola”, afferma il presidente, Raffaele Bonsignore.
Grandi aspettative nel circuito dell'arte internazionale. "Le vie dei tesori", esempio vincente di sinergia tra pubblico e privato
La Fondazione Sicilia (ex Banco di Sicilia), nata nel 1991, è divenuta un punto di riferimento per attività culturali che spaziano dalla letteratura allo sport, fino alla ricerca scientifica, oltre a essere custode di una collezione significativa che va dall’archeologia alla numismatica, una quadreria che attraversa i secoli – dal Seicento al Novecento – una biblioteca e un archivio storico di grande valore, per citare importanti beni del patrimonio. Le collezioni sono divise tra l’ottocentesca Villa Zito su via della Libertà e Palazzo Branciforte, acquistato e restituito alla città nel 2012, dopo un importante intervento di recupero architettonico e di allestimento firmato da Gae Aulenti.
Attraverso attività di restauri, mostre e premi, la Fondazione opera in tutta la regione. Quest’anno ha promosso: l’allestimento del Museo di arte contemporanea, nell’ex rifugio antiaereo di Caltanissetta, i restauri dell’organo della Cattedrale di Catania e della straordinaria icona della Madonna Odigitria del Duomo di Monreale, restituita al culto dopo oltre duecento anni e retrodatata, grazie a studi recenti, all’epoca della fondazione della Cattedrale per volere di Gugliemo II nel XII secolo, e ha curato la XXI edizione speciale del Premio nazionale di teatro Luigi Pirandello, assegnato quest’estate ad Agrigento a Toni Servillo.
Venerdì sono stati consegnati i premi letterari internazionali Mondello, manifestazione giunta alla quarantatreesima edizione, in collaborazione con il Salone internazionale del libro di Torino. Oltre alle giurie classiche, la Fondazione ha coinvolto duecentocinquanta studenti di quindici scuole secondarie di secondo grado (dodici di Palermo e tre di Enna, Noto, Marsala), in cui i ragazzi hanno assunto il ruolo di giurati per decretare il vincitore del premio Mondello Giovani. “Anche per questo progetto”, come dichiara il presidente Bonsignore, “la Fondazione ha l’ambizione di estendere la giuria degli studenti a tutta la Sicilia”. Una vocazione regionale per creare una rete che si estenda ben oltre il mare che circonda l’isola. L’obbiettivo dell’istituzione è quello di portare enti culturali di prestigio nazionale ad operare in Sicilia.
In quest’ottica, l’anno scorso è stato siglato un accordo con la Fondazione Merz di Torino, che ha promosso la mostra dell’artista egiziano di fama internazionale Wael Shawky, allestita la primavera scorsa a Palazzo Branciforte e nell’ex chiesa dei SS. Euno e Giuliano, riaperta per l’occasione, in collaborazione con il comune e Manifesta 12. Qualche settimana fa Shawky, tornato a Palermo, ha ricevuto la cittadinanza onoraria per sottolineare come nel capoluogo siciliano – nonostante le tante difficoltà – ci sia consapevolezza del valore dell’accoglienza e della diversità, recuperando il tessuto storico-culturale della città, ordito di contaminazioni. Una caratteristica di grande attualità, traino di un rinascimento culturale riconosciuto anche dal ministero dei Beni culturali. “Nel 2018 Palermo, un tempo capitale della mafia sarà Capitale italiana della cultura e sede di Manifesta, quindi la città sarà la faccia italiana dell’Europa”: è questo il leitmotiv del sindaco Leoluca Orlando che ha fatto della scommessa sul potenziale del cambiamento culturale il fulcro della sua politica.
Uno dei primi eventi mediatici è stata l’approvazione nel 2015 da parte della commissione Unesco del percorso arabo-normanno, che include diversi siti di Palermo e le vicine cattedrali di Cefalù e Monreale. L’itinerario si snoda attraverso edifici il cui stile artistico è il risultato dell’iterazione tra maestranze di provenienza geografica eterogenea. Pur rispettando le lingue e le religioni dei greci e degli arabi, la dinastia normanna degli Altavilla nel XII secolo si dedicò al recupero della cristianità in Sicilia e commissionò monumenti in cui sono mirabilmente fusi elementi bizantini, islamici e latini in combinazioni uniche.
E’ questa l’eredità culturale che ispira Manifesta 12, la biennale nomade d’Europa, uno degli eventi principali di Palermo Capitale, che s’inaugura a metà giugno. Manifesta non propone solo una mostra di arte contemporanea, ma ha l’ambizione di fungere da incubatore per stimolare le potenzialità della città. Nata a metà degli anni Novanta con l’idea raccordare culturalmente est e ovest dell’Europa, Manifesta oggi sceglie strategicamente la Sicilia per ribaltare l’asse del discorso politico-culturale tra nord e sud.
"La calunnia è un venticello", la mostra di costumi, lettere e documenti di tre dive dell'opera dell'800 nel Teatro Donnafugata
Il team dei quattro “creative mediators” di Manifesta è al lavoro da diversi mesi, coordinato dall’architetto Ippolito Pestellini Laparelli, originario di Messina, cittadino europeo di base a Rotterdam, dove è socio dello studio Oma di Rem Koolhas. Insieme agli altri tre, la regista olandese Bregtje van der Haak, l’architetto e studioso spagnolo Andrés Jaque fondatore dell’Office for Political Innovation, e la curatrice svizzera di origini greche Mirjam Varadinis, formano un gruppo curatoriale interdisciplinare. Questo importante team sperimenta un nuovo modello di biennale che verrà presentata dopodomani al ministero dei Beni culturali alla presenza del ministro Dario Franceschini. Un format particolare che risponde all’esigenza di dar vita ad un’eredità tangibile come lascito concreto della biennale per la città ospitante. Da qualche mese è iniziato un intenso programma dal titolo “aspettando Manifesta” nella sede del Teatro Garibaldi di piazza Magione, cuore dell’antico quartiere della Kalsa, riaperto per l’occasione.
Un progetto complesso per il quale si è creata una grande aspettativa in città e nel circuito dell’arte internazionale perché, come dichiarato dalla direttrice di Manifesta, Hedwig Fijen, lavorare a una biennale a Palermo, “è una grande sfida per ripensare a come gli interventi culturali possano avere un forte ruolo nell’aiutare a ridefinire uno dei più iconici crocevia del Mediterraneo della nostra storia, all’interno di un lungo processo di trasformazione.”
Palermo è già all’interno di una rete di sperimentazione e scambio di modelli di gestione di eventi culturali. Quest’anno, ad esempio, Il Festival “Le vie dei tesori”, manifestazione di grande partecipazione di pubblico, nata nel 2006, ogni anno nei weekend di ottobre trasforma la città in un grande museo diffuso. Si aprono contestualmente luoghi straordinari e in gran parte sconosciuti, e il progetto coinvolge altri quattro centri della Sicilia: Agrigento, Caltanissetta, Messina e Siracusa. Esempio vincente di sinergia tra pubblico e privato, per il prossimo anno annuncia un’edizione in altre città siciliane e in tre siti nazionali, esportando l’esempio dal sud al nord. Dialogo che funziona anche al contrario quando c’è il comune intento di creare una rete di episodi culturali in luoghi speciali, come per il Piano City Festival dedicato al pianoforte, dal classico al contemporaneo, che da Milano quest’anno è approdato a Palermo, per un numero zero, con una coproduzione del comune e del Teatro Massimo insieme a sponsor privati. Un fitto cartellone di concerti eseguiti dall’alba a notte fonda in riva al mare di Mondello come al centro dei Quattro Canti, chiusi al traffico, in modo da poterne apprezzare l’antico nome di Teatro del Sole, e vedere la modulazione della luce roteare sugli edifici con una colonna sonora che ha accompagnato il sorgere del giorno. L’anno prossimo si replicherà in autunno.
Il Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino (fondato nel 1975 dall’appassionato medico e antropologo di cui porta il nome, insieme alla moglie Janne Vibaek, antropologa danese), qualche settimana fa ha ottenuto il titolo di Museo dell’Anno 2017, l’Oscar dei musei, conferito dall’International Council of Museums, Italia. L’ambito riconoscimento è stato conferito per premiare la capacità dell’istituzione palermitana di valorizzare sia il patrimonio materiale e culturale, lavorando “lateralmente”, come racconta il direttore Rosario Perricone, “in un incrocio e incontro tra teatro, letteratura, arte, ricerca, antropologia, che fa delle pratiche tradizionali a forte carattere comunitario un punto di partenza, grazie ad un approccio multidisciplinare e transculturale”.
Palermo Capitale 2018 attira investimenti culturali interessanti, che coinvolgono non solo il capoluogo. La società Valorizzazioni culturali, di base a Venezia e Milano (dove organizza, rispettivamente, una serie di mostre in contemporanea alla Biennale e il “Fuori Salone”) ha già annunciato un programma parallelo a Manifesta, realizzato in collaborazione con alcune dimore storiche di grande prestigio: “palazzo Alliata di Pietratagliata, villa Bordonaro ai Colli, palazzo Villafranca, palazzo Francavilla, palazzo Arone di Valentino, palazzo Castelnuovo, villa Chiaramonte alle Croci - dice Massimiliano Marafon Pecoraro, docente dell’Università di Palermo e responsabile siciliano di Valorizzazioni culturali – ma questa lista è destinata a crescere includendo le periferie e i giardini nascosti”. Allargando l’effetto trainante di Palermo al resto dell’isola, il mese scorso in una conferenza tenutasi a Riso - Museo d’arte contemporanea della Sicilia, Joe Gebbia, cofondatore della piattaforma di home sharing più importante del mondo, Airbnb, ha annunciato un progetto di riqualificazione volto a coinvolgere il turismo nelle aree rurali della Sicilia, iniziando da Sambuca, borgo più bello d’Italia 2016. Nel paese in provincia di Agrigento, Airbnb realizzerà una struttura ricettiva che sarà inaugurata nella primavera 2018 nei locali del Museo archeologico di Palazzo Panitteri, esportando quanto già fatto a Civita di Bagnoregio, la famosa e affascinante “città che muore” arroccata su uno sperone di tufo, in provincia di Viterbo. La società californiana ha realizzato un progetto pilota nell’alto Lazio trasformando la storica Casa Greco, in collaborazione con il comune di Civita, in dimora d’artista con cinque posti letto, grazie all’intervento site-specific di Francesco Simeti (palermitano di base a New York) e di Dwa Design Studio. La commissione di Airbnb per l’affitto della casa andrà al fondo del comune per finanziare progetti culturali e tentare di tutelare i luoghi della memoria, cercando di coniugare tecnologia, arte e turismo con i valori della comunità locale.
Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
Scansatecene da questa cosa che si chiama “Street Food Fest Xmas edition”
Bedda Matri che cosa succede a Palermo. Scansatecene da questa cosa che si chiama “Street Food Fest Xmas edition”. Ma come, la bedda Palermo è Capitale della Cultura, comincia bene con la meravigliosa due giorni ai Cantieri Culturali alla Zisa di Franco Maresco in onore di “Franco Franchi” – una maschera, ancor più che un comico – e adesso la città se ne viene con questa definizione tascia, ma così tascia, del nobilissimo e squisito rito di pane, panelle e stigghiola? Sindaco Orlando, presto: chiami un Esorciccio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
Palermo Capitale della cultura 2018, l'inaugurazione col premier
Paolo Gentiloni: è un'occasione per tutti gli italiani
Palermo (askanews) - "Credo che non sfugga a nessuno di noi l'importanza di questa apertura di quest'anno in cui Palermo è Capitale della Cultura".
Palermo è ufficialmente la Capitale italiana della Cultura 2018. La cerimonia d'inaugurazione si è svolta lunedì 29 gennaio 2018 al Teatro Massimo di Palermo alla presenza del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, accompagnato dal ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini. Ad accogliere il premier, il presidente della Regione Nello Musumeci, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando e il prefetto della città, Antonella De Miro. La cerimonia si è aperta con il coro di voci bianche che ha intonato l'inno nazionale italiano, quindi è stato proiettato un breve filmato che mostra il patrimonio storico e artistico di Palermo. Presentato anche il logo di Palermo Capitale della Cultura 2018, realizzato da una giovane studentessa dell'Accademia di Belle Arti, Sabrina Ciprì, e che raffigura quattro P in arabo, in ebraico, in fenicio e in greco: le dominazioni che si sono succedute nel capoluogo siciliano.
"È un'occasione per tutti gli italiani a cui non sfugge la realtà di una città che ha sofferto - ha detto Gentiloni - e che certamente non ha del tutto superato difficoltà sociali, che è stata anche al centro di lutti, minacce, che è stata in qualche modo costretta a convivere con stereotipi a livello nazionale e internazionale. Ma è una città che sta cambiando, proiettata al futuro Questa è una occasione per dire grazie Palermo, gli italiani sono orgogliosi di questa città".
Per il sindaco Leoluca Orlando, invece, Palermo ha meritato di diventare Capitale della Cultura perché è anche un esempio di accoglienza e di rispetto dei diritti.
"Siamo in un tempio della musica - ha detto - della lirica, della cultura, ma anche di una cultura diversa da quella artistica, la cultura della vita, dell'accoglienza, dei diritti. E di culture altre, nate in altre parti del mondo, e che a Palermo divengono palermitane, e che fanno della città la città al mondo che negli ultimi 40 anni è maggiormente cambiata".
A cura di Askanews
Nuove analisi per "La ragazza con l'orecchino" di Vermeer
Il dipinto celeberrimo nelle mani degli esperti
L'Aia, (askanews) - E' uno dei dipinti più famosi del mondo, "La ragazza con l'orecchino di perla" di Jan Vermeer, per due settimane sottoposto ad analisi scientifiche con nuovi metodi, di fronte ai visitatori del Mauritshuis, il museo olandese dell'Aia che lo ospita. Lo spiega Emilie Gordenker, la direttrice del museo:
"Speriamo di capire meglio come lavorava Vermeer e che materiali usava, e quindi tutto il suo processo artistico e le differenze coi contemporanei. Vent'anni fa, all'ultimo restauro, ci sono rimaste alcune domande che ora possiamo esaminare con nuove tecniche: come Vermeer costruiva gli strati di colore, se c'è un bozzetto sotto il colore, come creava quei suoi effetti di luce così unici. Dove prendeva i pigmenti che formano i suoi colori? Oggi possiamo scoprirlo usando analisi chimiche, possiamo esaminare il dipinto ingrandendolo settemila volte. Abbiamo radunato una squadra fantastica, un dream team da tutto il mondo, pianificati con grande cura perché tutti possano lavorare nello spazio di due settimane. E ora fuori dalla sua cornice, esaminata così da vicino, la ragazza con l'orecchino ha qualcosa di vulnerabile, è un modo diverso di guardare al dipinto e ogni volta impariamo qualcosa di nuovo."
A cura di Askanews
Il miracolo della sirena di Bardolino
Una ragazza vince 500mila euro al gratta e vinci dopo aver chiesto un intervento soprannaturale alla statua di una sirena. Ecco cosa ne dedurrebbero uno scienziato, un intellettuale e un buon cristiano
Miracolo a Bardolino, provincia di Verona: una giovane precaria, turista sul lago di Garda, ha comprato un gratta e vinci che le ha fruttato una cospicua somma, garantendosi così una vita serena. Evviva! Comprensibilmente felice oltre ogni dire, dal suo paese la precaria risanata ha ora versato una piccola percentuale della vincita in ringraziamento a uno stabilimento balneare di Bardolino, detentore della statua di una sirena che tiene in mano un cuoricino un po’ kitsch. È stato davanti a questa sirena dell’amore, spiega infatti la missiva accompagnatoria, che la giovane ha chiesto un intervento soprannaturale per risolvere la propria vita complicata, e la sirena ha fatto la grazia. Se per esprimersi sul miracolo fosse inviata nelle terre di San Marco una commissione composta da uno scienziato, un intellettuale e un buon cristiano, i tre membri concluderebbero così. Lo scienziato spiegherebbe che la preghiera dell’ex precaria testimonia l’ancestrale tendenza ad affidare i propri patemi a una dolce figura materna immaginaria, di cui la sirena miracolosa non è la più stramba delle incarnazioni fra la Madonna, Iside e Devaki. L’intellettuale argomenterebbe cinico che aveva ragione Chesterton: quando si smette di credere in Dio, s’inizia a credere proprio a tutto. Il buon cristiano suggerirebbe infine che, pur di raggiungere chi la ricerca, la grazia è capace di camuffarsi da quel che le pare: anche da sirena dell’amore, se le va.
L'isola degli incanti
Un grande viaggio nella Sicilia della luce e dei colori affidato agli acquerelli di Fabrice Moireau. La “cedevole scambievolezza delle tinte” già tanto amate da Goethe in bella mostra a Roma
Quando, anni fa, ebbe l’idea di iniziare a dipingere i tanti tetti di Parigi in ardesia dagli inconfondibili colori blu e grigio, quelli che spesso – come diceva Baudelaire – “vanno a confondersi con un cielo che pesa come un coperchio sulla città”, Fabrice Moireau era ben lontano dal pensare che ci sarebbe riuscito. Classe 1962, originario di Blois, piccola cittadina del centro-valle della Loira grande come tre arrondissements della Ville Lumière, per diversi anni suonò alle porte, osservò, disegnò, fece finta di abitare negli edifici inerpicandosi a caso qua e là con lo sguardo in bilico e la vertigine in agguato. Il risultato di questo lungo lavoro fu un libro, I tetti di Parigi (L’Ippocampo editore), negli anni divenuto un bestseller anche perché, grazie ai suoi acquerelli, Moireau riuscì a mostrare sotto un’altra luce i monumenti celebri, i luoghi pubblici e anche gli angoli meno conosciuti di quella città sempre al centro dell’attenzione, introducendone però visioni e scorci inediti.
Dopo “I tetti di Parigi” il pittore francese è andato in Sicilia. “Ogni posto visitato nei due anni che sono stato lì, mi ha emozionato”
A distanza di anni, ha deciso che la sfida doveva continuare e ripetersi in qualche modo, ma questa volta in Italia, in Sicilia, un’isola nei confronti della quale ha provato sempre una forte attrazione sin da quando era bambino. Con i suoi “compagni di viaggio” – uno zaino in spalla, pennelli, matite, tavolozza, fogli bianchi e uno sgabello pieghevole – è partito alla volta di quel posto magico, pieno di luce, bellezza e contraddizioni, un po’ come fece Johann Wolfgang von Goethe, che nel 1787 arrivò nel nostro paese percorrendolo in lungo e in largo fino ad arrivare anche in Sicilia. “E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto”, scrisse l’autore tedesco nel suo celebre Viaggio in Italia. “La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra: chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.
Parole, le sue, di cui Moireau ha fatto tesoro andando a perlustrare le vedute di alcune riserve naturali, la bellezza del mare di Agrigento, città come Ragusa e Catania, le saline della laguna dello Stagnone a Mozia, fra Trapani e Marsala, i numerosi castelli, le case di Sciacca, gli scorci dei siti Unesco, la Valle dei Templi fino alle chiese barocche della Val di Noto, tracciando un itinerario lungo e colorato nella Sicilia più intima. Quel che ne è venuto fuori è “Sicilia, il Grand Tour”, una mostra realizzata dalla Fondazione Cultura e Arte in collaborazione con la Fondazione Federico II che va a raccogliere i suoi acquerelli più significativi e che, dopo essere stata ospitata al Palazzo Reale di Palermo – la città che colpì proprio Goethe (e non soltanto lui) per “la purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra” – è arrivata anche a Roma. Nel bel Palazzo Cipolla in via del Corso, fino al 22 luglio prossimo potrete ammirare da vicino quasi quattrocento opere concesse dalla Fondazione Dragotto, un nuovo percorso che l’arte di Moireau, accompagnata dai racconti del magistrato Lorenzo Matassa – un po’ come fece Goethe, ma al contrario, usando le illustrazioni di Christoph Heinrich Kniep – è riuscito a fare al meglio due secoli e mezzo dopo.
“Sono trent’anni che giro per il mondo e quello che faccio non è altro che osservare e poi disegnare quello che vedo”, ha spiegato l’artista francese alla vernice romana. “La Sicilia – aggiunge – è unica: è un piccolo continente con paesaggi e persone straordinarie come i siciliani, speciali a loro modo perché pensano in maniera filosofica. Ogni posto visitato, abitato e vissuto nei due anni che sono stato lì, mi ha emozionato e lasciato dentro ricordi che sono difficili da dimenticare”.
Guardando tutti quegli acquerelli insieme, tra scorci naturali e isole minori, il celebre teatro greco di Taormina, il tempio di Segesta o una cattedrale come quella di Monreale, descritta con un’attenzione minuziosa, si è rapiti da cotanta bellezza e la prima reazione che si ha, è desiderare di prendere un aereo o un treno e partire per raggiungere quei posti e vederli finalmente da vicino, soprattutto adesso che l’isola è ancora più al centro dell’attenzione grazie anche al suo capoluogo che è l’attuale Capitale italiana della cultura.
“Quegli acquerelli rivelano una terra piena di luce e di meraviglie, di valori, di tensioni e contraddizioni che non vanno mai dimenticate”, spiega al Foglio Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II, che dal 1996 valorizza con grandi risultati il patrimonio culturale della Sicilia e dei suoi artisti. “Portare una mostra come questa a Roma – precisa – è un’operazione culturale, un invito per tutti i siciliani a riscoprire la bellezza e i valori della propria terra che ha tante contraddizioni che la caratterizzano, questo è vero, ma, soprattutto – non dimentichiamolo – un alto valore culturale ed etico che va mantenuto, difeso e promosso”.
Dalla Sicilia, il Grand Tour risalirà l’Italia per fare tappa a Milano e poi a Bruxelles, “un percorso espositivo che è una vera e propria poesia”, lo definisce il professor Emmanuele F. M. Emanuele, presidente onorario della Fondazione Cultura e Arte: “Un inno all’isola che indusse Federico II di Svevia ad affermare che era a tal punto felice di vivere in Sicilia da non invidiare a Dio il Paradiso. E’ un viaggio nella memoria – continua – un’immersione nei luoghi, negli scorci, nei paesaggi più belli e suggestivi della mia terra natia”.
Patrizia Monterosso: “Quegli acquerelli rivelano una terra piena di luce e di meraviglie, di valori, di tensioni e contraddizioni”
Soffermandovi a guardarli uno dopo l’altro e dando loro la giusta attenzione, noterete che in quegli acquerelli il paesaggio prende forma con macchie di colore, tonalità calde e avvolgenti, tagli di luce e ombre di grande effetto. Alle vedute classiche si alternano altre meno conosciute, dove è il singolo dettaglio a fare la differenza: dalle vecchie case a Gangi alle espressioni dei pescatori nel porto di Palermo, dai pomodori secchi a uno dei simboli dell’isola, i fichi d’india, dai colori pastello più chiari della spiaggia di Mondello fino a quelli più scuri della riserva dello Zingaro. Sono notevoli questi paesaggi marini dove il colore del mare riflette l’emozione istantanea dell’artista, sfumando dal blu intenso al celeste, dal verde al cristallino, spesso “macchiato” dai colori di un tramonto a volte tumultuoso altre ribollente. Le montagne sono variopinte e c’è l’Etna con le sue colate laviche; ci sono i terreni ubertosi e le vie, le piazze e le scalinate, le case dei poveri e quelle dei potenti, dai primi sognate e ammirate solo dall’esterno. E, ancora, ci sono i cieli limpidi e quelli più nuvolosi, un ensemble che è “il mondo siciliano di Moireau”, che da straniero in quella terra è riuscito a farci scoprire e apprezzare ancora di più una Sicilia che è lo specchio dei suoi abitanti, eternamente combattuti fra due opposti, tra l’amore e l’odio, l’amicizia e l’inimicizia, il sentimento e la passione, la ragione e il sogno, la credulità e la diffidenza, l’ingenuità e l’astuzia. Sicilia, il Grand Tour è anche un libro pubblicato in quattromila copie dalla Fondazione Tommaso Dragotto, un grande progetto multiculturale arricchito da un racconto del magistrato e scrittore Matassa che, con le sue parole – così come ha fatto Moireau con i suoi disegni – è riuscito a cogliere e a descrivere al meglio lo spirito di quei luoghi.
Non è vero, dunque, come si legge nel Gattopardo che in Sicilia tutto cambia perché tutto rimanga com’è, perché negli ultimi anni quasi tutto è cambiato. Ciò che resta immutato sono i suoi monumenti e il suo mare, il Mediterraneo, “quello da cui tutto ha avuto inizio”, conclude Emmanuele Emanuele, “quello che ha consentito l’osmosi tra le civiltà e il dialogo tra le genti”. Un mare che non è così ostile come si dipinge, ma che può diventare un’area capace di consentire il colloquio tra le genti.
editoriali
L'Europa ospiti l'arte israeliana
Il cielo sopra Palermo
Un'altra identità per la città: la visione della "Sua Altezza". Foto di Scafidi e racconti dei suoi cronisti
Il cielo sopra Palermo come luogo per una nuova visione della città: "Sua Altezza Palermo" è il volume fotografico di Pucci Scafidi che racconta, per immagini, il capoluogo siciliano visto dall'alto. Un modo, come spiega ad AskaNews il cronista Antonio Calabrò, uno dei palermitani chiamati a raccontare anche con le parole la propria città, che consente di prendere respiro e distanza da certe letture troppo semplicistiche. "Non è un libro furbo – assicura il giornalista – è un libro sincero, perché prova a raccontare una grande città, quest'anno Capitale della Cultura, da un'angolazione diversa rispetto allo stereotipo di Palermo violenta, sporca, mafiosa, volgare. C'è una Palermo di grande architettura, di verde, di mare, di giardini, dentro cui c'è anche il degrado di Palermo. Guardare dall'alto consente di avere una visione lunga, ma anche una prospettiva morale: Palermo deve uscire dalle bassezze del degrado di questi anni e provare a ricostruire un'altra immagine e un'altra identità, un'altra dignità si sé".
Accanto a Calabrò il volume, edito da Novantacento, presenta testi anche di Gaetano Savatteri, Felice Cavallaro e Giorgio Mulè, che provano, accompagnati dalle immagini di Scafidi, a essere cronisti della propria stessa vita, nell'ottica però di una prospettiva al tempo stesso semplice ed elevata. "I palermitani – ha aggiunto Calabrò – sono animali teatrali, sanno recitare, sanno cioè porre le questioni più drammatiche di Palermo, anche alcuni aspetti tragici, dentro una rappresentazione molto forte. Palermo è città di teatro di strada, oltre che di teatro molto nobile, ha ereditato le grandi tradizioni del teatro greco, che arriva fino a Pirandello e a Camilleri. E nella capacità di rappresentarsi c'è un gusto che è insieme spettacolare e ironico. Per noi cronisti è bastato fare i cronisti".
La galleria degli orrori (restaurati)
In Spagna scoppia un nuovo caso "Ecce Homo": un discutibile restauro rovina una statua di San Giorgio. E ritorna in mente il famigerato lavoro del 2012 sul dipinto di Cristo a Borja. Che però ha fatto crescere il turismo
Il discutibile restauro di una scultura in legno di San Giorgio risalente al XVI secolo nella Chiesa di San Michele nella città di Estella
L'opera di Elia Garcia Martinez (1858 - 1934), 'Ecce Homo', nella piccola città di Borja. Prima e dopo il restauro di Cecilia Giménez
Il lavoro svolto sul Castello di Matrera, a Villamartín (Cádiz), è stato duramente criticato dagli esperti. Costruito nel IX secolo, il castello è un bene di interesse culturale. "Il paesaggio e gli aspetti storici del sito sono stati pervertiti", afferma Carlos Morenés, vicepresidente di Hispania Nostra, un'organizzazione senza scopo di lucro che lavora per difendere il patrimonio naturale e culturale della Spagna.
Prima e dopo il restauro di una scultura del 17mo secolo dell'arcangelo Michele all'interno della chiesa di Peñaranda de Bracamonte
Cristo romanico di Navarra
Chiesa di Madrigueras, Albacete
Chiesa e convento di Las Puras, Almería
Chiesa parrocchiale Nuestra señora de la Misericordia, a El Cabaco (Salamanca)
È successo ancora. Un altro pasticciato "restauro artistico", questa settimana ha fatto ribollire i social network spagnoli, riportando alla memoria il famigerato "restauro" del 2012 di un dipinto dell'Ecce Homo a Borja, in Spagna. Anche quella volta una pensionata, Cecilia Giménez, benché munita di buone intenzioni, aveva manomesso e distrutto un affresco secolare di Cristo. A quei tempi , persino il Monde e il New York Times ripresero la storia della pittura sfigurata. Su Twitter, invece, gli utenti avevano postato decine di parodie sotto l’hashtag #eccemono, storpiando l'originale latino con la parola mono che in spagnolo significa scimmia. Ma nel frattempo – per una sorta di buon karma – i flussi turistici (ed economici) per il piccolo villaggio di Borja sono saliti alle stelle. Il disastro artistico ha ispirato addirittura un'opera comica.
Questa volta, il discutibile restauro è stato quello di una scultura in legno di San Giorgio risalente al XVI secolo. L'opera si trova all'interno della Chiesa di San Michele nella città di Estella, nella regione della Navarra, al nord est della Spagna. Le immagini condivise sui social lo scorso fine settimana mostrano il guerriero che uccide il drago coperto da uno strato di vernice acrilica che ha eliminato tutte le sfumature prima esistenti. Ma ancora più scioccante è il volto del santo, che sembra uscito da un vecchio cartone animato. Karmacolor, la società incaricata dei lavori di restauro, aveva caricato un video su Facebook che mostrava ogni fase del progetto, ma ora è stato rimosso. L'Associazione dei Conservatori e restauratori di Spagna (Acre) ha dichiarato che il risultato "mostra una spaventosa mancanza di formazione del tipo richiesto per questo tipo di lavoro". Si è scoperto che i responsabili della chiesa hanno ingaggiato un laboratorio di arti e mestieri per eseguire il restauro di un'opera d'arte di epoca gotica. Fonti dell'ufficio dell'arcivescovo di Pamplona hanno detto lunedì all'agenzia EFE che il parroco non voleva che la scultura venisse rifatta: "Voleva solo ripulire uno spazio che era sporco". L'Acre nota che qualsiasi azione condotta sul patrimonio culturale spagnolo è coperta dalla legislazione statale e, in questo caso, anche dalle leggi della Navarra, secondo cui qualsiasi lavoro di conservazione e restauro deve essere effettuato da personale altamente specializzato e accreditato che lavora sotto la supervisione amministrativa. Mentre hanno iniziato a girare in rete dei "meme" che sfottono il restauro, ora gli esperti dovranno analizzare il San Giorgio per determinare se può essere riportato al suo aspetto originale. Nel frattempo, Acre ha detto che presenterà un reclamo legale contro i responsabili di "questo sfortunato intervento" che ha provocato "la distruzione di parte del patrimonio culturale della Navarra".
editoriali
L'Europa ospiti l'arte israeliana
Principessa egiziana di rara bellezza, santa Caterina esercitò un grande fascino sul potente imperatore Massenzio, che chiamò alla sua corte numerosi sapienti e filosofi dell’Egitto, nel tentativo di distoglierla dalla fede in Cristo, quando Alessandria era il fulcro culturale d’oriente e d’occidente, nel IV secolo. La nobile fanciulla, con la sua dialettica, riuscì a convertire al cristianesimo i dotti convenuti, suscitando l’ira di Massenzio che decise di torturarla, con l’ordine di legarla tra due ruote dentate, divenute poi il suo attributo iconografico. Secondo la Legenda Aurea, a questo punto intervenne la divina provvidenza, in forma di angelo, a interrompere il terribile martirio: le ruote esplosero e le schegge dentate uccisero gli astanti, venuti ad assistere al macabro spettacolo. Infine Caterina fu decapitata, ma dal taglio della testa sgorgò latte e non sangue e, per questo, la santa è considerata protettrice delle partorienti e dei lattanti, oltre che degli studiosi, per la sua profonda cultura filosofica. Una storia avvincente che ha alimentato il culto di una tra le sante più popolari dell’Europa occidentale.
Oggi, santa Caterina è simbolo di una rinascita culturale a Palermo, testimoniata da due iniziative congiunte: l’apertura straordinaria del monastero a lei dedicato, uno dei siti storici più affascinanti del centro cittadino, riaperto per la prima volta al pubblico lo scorso anno solo per pochi giorni, e la presentazione di una tavola fiamminga, esposta in occasione della grande mostra “Sicilië, pittura fiamminga”, a cura di Vincenzo Abbate, Gaetano Bongiovanni e Maddalena De Luca.
La tavoletta dipinta a olio, di autore fiammingo ancora ignoto, sarà esposta per quattro giorni all’interno del monastero
“Sicilië è un’operazione culturale”, osserva Patrizia Monterosso, direttore della Fondazione Federico II, “pensata per Palermo Capitale della cultura 2018, con l’obiettivo di valorizzare e far conoscere la ricchezza di tutto il territorio siciliano disseminato di chiese e musei, da dove provengono le opere eccezionalmente prestate per la mostra. Un’esposizione mai realizzata prima, che racconta di un periodo, tra fine Quattrocento e Seicento, in un intreccio tra storia, economia e arte, quando l’Isola era florida e rappresentava uno snodo commerciale importante, in collegamento con il nord Europa”. Una mostra, manifesto programmatico per l’attività della Fondazione, in accordo con l’Assemblea regionale siciliana e l’assessorato dei Beni culturali, che intende porre “una rinnovata attenzione verso i nostri tesori che troppo spesso giacciono nascosti”, continua Patrizia Monterosso, partendo dagli stessi luoghi della Fondazione Federico II: il Palazzo Reale. Un sito monumentale che sarà oggetto di una rivoluzione necessaria e da molto tempo auspicata dal pubblico e dai fruitori: l’ingresso dei turisti sarà trasferito dal portone sul retro del palazzo a quello principale, rivolto verso la città, su piazza del Parlamento, davanti al palmeto più grande del Mediterraneo, a nord di Tunisi.
I fiamminghi e il regno di Carlo V. Da mercoledì una grande mostra nelle rinnovate sale Duca di Montalto del Palazzo Reale
A partire da maggio, il pubblico potrà varcare la stessa soglia che un tempo era esclusiva dei viceré e camminare sul pavimento trasparente che permette di ammirare le fondamenta del palazzo, dove si trovano le fortificazioni puniche dell’antica Paleopoli che illustrano la stratificazione storica di questo luogo, testimone della narrazione millenaria della città. Attraverso le segrete, si potrà di nuovo accedere alla chiesa inferiore, sottostante la Cappella Palatina, realizzata da maestranze islamiche probabilmente nel primo periodo guiscardiano quando, nel 1072, i normanni della dinastia degli Altavilla conquistarono la Balarm araba e diedero avvio all’opera di cristianizzazione. Un processo senza eccessive forzature o coercizioni, che culmina nella realizzazione della Cappella Palatina, opera di sincretismo culturale: chiesa cristiana con scritte in latino, decorata con mosaici bizantini e iscrizioni in greco, con uno dei più vasti cicli pittorici islamici conservati al mondo nel soffitto di legno a muquarnas, scandito da stelle a otto punte decorate da calligrafie in caratteri cufici.
Dopo aver ammirato la magnificenza del palazzo, il pubblico potrà riposare nel verde dei giardini reali posti sopra al cinquecentesco bastione di San Pietro, ricchi di piante secolari, dai quali ammirare la Porta Nuova e l’Osservatorio astronomico sulla Torre Pisana, attivo dalla fine del Settecento. Anche questo luogo magico che conserva, tra le altre meraviglie, tre telescopi appartenuti a Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che ispirò il personaggio del Gattopardo, sarà presto riaperto al pubblico. Si potrà rivedere il Cerchio di Ramsden, strumento astronomico unico al mondo dal quale nella notte del primo gennaio del 1801 fu individuato il primo asteroide, la Cerere Ferdinandea. Un’anticipazione delle potenzialità attrattive di questo luogo è stata data due settimane fa, durante la notte bianca dei monumenti arabo-normanni del percorso Unesco, alla quale hanno partecipato oltre quarantamila visitatori, metà dei quali hanno osservato le stelle grazie agli astronomi di Palazzo dei Normanni.
Un’attenta strategia con lo scopo di valorizzare non solo il Palazzo Reale, anche se, dichiara la Monterosso, “si partirà da qui perché per quest’anno sono previsti un milione di visitatori per il monumento cardine della storia di Palermo”, ma per “la creazione di una rete territoriale volta all’attivazione di sinergie per continuare ad adottare altre opere d’arte e di architettura dell’immenso patrimonio siciliano, come nel caso della tavola di Santa Caterina e del monastero omonimo, e restituirle alla fruizione pubblica attraverso mostre, incontri e restauri”.
“Il restauro a Palermo rappresenta un’occasione unica nel panorama nazionale non solo per il recupero materiale dei preziosi capolavori ma anche per i numerosi dati tecnico-scientifici che ne derivano, così da svelare un’arte locale voluta e prodotta da personalità artistiche e grandi maestri che hanno contribuito a fare della Sicilia uno dei territori più ricchi e variegati d’Italia”, afferma Mauro Sebastianelli, consulente per la conservazione e il restauro per l’arcidiocesi e il Museo diocesano di Palermo, nonché docente del corso di laurea in Conservazione e restauro dei beni culturali presso l’università del capoluogo. La ricerca legata al recupero di capolavori inediti, spesso ancora in attesa d’interventi di conservazione e valorizzazione, favorisce inoltre le ipotesi di attribuzione e consente di far luce sulla storia del restauro.
La mostra “racconta un periodo in cui l’Isola era florida, uno snodo commerciale importante con il nord Europa” (Patrizia Monterosso)
Questo aspetto risulta ancora più significativo nella considerazione che gli interventi del passato sono diventati parte integrante della storia di ogni opera, soprattutto a partire dal XIX secolo. “Ancora oggi a Palermo si può vivere il sogno della scoperta grazie al suo patrimonio storico-artistico che appartiene alla collettività”, annota Sebastianelli. “L’aspetto più rilevante di queste iniziative è la volontà di intervenire, nonostante le limitate risorse, sia delle istituzioni pubbliche che degli enti privati, che lavorano insieme per uno scopo comune. Ciò rappresenta una vera opportunità per rendere fruibili alcuni siti ancora sconosciuti perché da sempre chiusi al pubblico, come nel caso del complesso di Santa Caterina”, conclude Sebastianelli. Il monastero è un ricco contenitore di capolavori ancora da studiare ed è già stato oggetto d’interventi specifici eseguiti dalla Soprintendenza dei Beni culturali in collaborazione con l’Arcidiocesi della città e l’università.
Conosciuto inizialmente come “Santa Caterina delle donne”, il convento costruito nel Trecento era stato inizialmente destinato alle dame in cerca di redenzione, alle quali subentrarono le monache di clausura provenienti da famiglie nobili che lo abitarono fino a pochi anni fa, quando rimasero solo in due a vivere nell’immenso complesso. Un edificio importante perché è uno dei pochi a non aver subito gravi devastazioni nel difficile passaggio dei beni religiosi allo Stato post unitario (1866). Con i suoi ambienti pervasi di pace silenziosa, nonostante l’ubicazione vicino al traffico dei Quattro Canti, il monastero conserva opere d’arte ancora da scoprire e gli oggetti realizzati minuziosamente dalle suore, come le preziose ceroplastiche devozionali dette “scarabattole”.
Un’attenta strategia con lo scopo di valorizzare il Palazzo Reale, “perché quest’anno sono previsti un milione di visitatori”
Nella configurazione attuale, il monastero si articola accanto alla chiesa che si affaccia su piazza Bellini, tripudio di marmi mischi e tramischi e attorno a un ampio chiostro con al centro la fontana dello scultore Ignazio Marabitti, sormontata dalla statua di San Domenico. Sul lato orientale del Chiostro si trova il prospetto medievale dell’aula capitolare. Attualmente, oltre al chiostro sono visitabili la stanza della priora, la sacrestia, l’aula capitolare, il refettorio e le cucine, dove venivano preparati i celebri dolci di pasta di mandorle. Recentemente sono state recuperate anche le celle, dove le monache conducevano la loro vita austera, fatta di quiete e preghiera. Il monastero costituisce la rara testimonianza di un modo di vivere ormai dimenticato, l’immagine di un’autentica città di Dio chiusa e al tempo stesso integrata nella città degli uomini. In futuro si auspica che la salvaguardia e il recupero dei beni culturali possa compiersi pienamente affinché la cura e la conoscenza del nostro passato possa essere la base per rielaborare la nostra identità contro l’incuria del tempo e della memoria.
editoriali